Da alcuni anni la presenza di questi antichissimi, longevi rettili marini è in aumento – Si possono vedere durante tutto l’anno, specialmente quando c’è il sole e vengono a respirare in superficie, oppure quando si nutrono ai self service degli allevamenti di cozze – Tra Ravenna e il Conero la più alta concentrazione di Caretta caretta della penisola – Gli “incidenti” che mettono a rischio la loro vita e l’Ospedale delle tartarughe di Riccione con 45 “posti letto” – Le cure e i rilasci della Fondazione Cetacea – La tartaruga tra mito secolare e simbologia
Le ultime rilevazioni dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) censiscono circa 75mila tartarughe marine nel Mare Adriatico. Che la Romagna sia terra di buon cibo e di pesce saporito lo sanno in tanti, e lo sanno benissimo anche le decine di migliaia di tartarughe marine che ogni anno nuotano per centinaia di miglia per raggiungere l’alto Adriatico compreso tra Ravenna, Trieste e Pola. Non per deporre le uova, ma per alimentarsi e per nutrire i piccoli. Si tratta infatti di un mare poco profondo, ricco di crostacei, una sorta di self service per le tartarughe marine. Le loro possenti mascelle possono frantumare senza problemi i gusci duri dei granchi, dei ricci di mare, dei bivalvi ma più frequentemente mangiano spugne, meduse, cefalopodi, gamberetti e pesce. In questa zona dell’Adriatico si possono vedere spesso, durante tutto l’anno, soprattutto d’estate, ma anche nei mesi autunnali e talvolta d’inverno.
L’Adriatico è certamente un paradiso per la biodiversità dell’ecosistema marino e in questo mare si possono osservare specie animali meravigliose.
Sauro Pari, Presidente della Fondazione Cetacea Onlus con sede a Riccione, spiega: “nell’area tra il Conero e Trieste sono state censite tra le 25mila e le 45mila tartarughe, prevalentemente della specie Caretta caretta, rettili che nascono nello Ionio, nell’Egeo e nel nord Africa e che poi vengono ad alimentarsi nel nostro mare. Si possono vedere soprattutto in estate, oltre le 12 miglia, e specialmente quando c’è il sole. Mangiano alghe, meduse e granchi. Ma sono golosissime anche di cozze e vongole, e per questo motivo una della zone di maggior concentrazione di tartarughe sono le aree in cui sono presenti gli allevamenti di mitili, una sorta di self service per questi simpatici animali”. Nel 2012 la Regione Emilia Romagna, sollecitata da Fondazione Cetacea, ha istituito una Rete regionale per la tutela delle tartarughe marine: hanno siglato l’intesa anche l’Università di Bologna, l’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna, le Capitanerie di porto di Ravenna, Rimini e Porto Garibaldi, i Carabineri Forestali, ARPAE Daphne e le diverse fondazioni da anni impegnate nella tutela dell’ambiente, come il Centro ricerche marine di Cesenatico. La Rete emiliano romagnola è in stretta sinergia operativa con le Reti di Veneto, Marche e Abruzzo per una visione complessiva dell’intero bacino Adriatico sul piano delle problematiche legate alla tutela delle tartarughe marine.
“Una ampia collaborazione operativa, anche grazie alla collaborazione dei pescatori – aggiunge Pari -, ma ci sosteniamo unicamente col volontariato e le donazioni dei privati, compreso il 5 per mille e le adozioni online (“Adotta una Tartaruga”) delle tartarughe che salviamo”.
Sono diversi, infatti, i problemi in cui incorrono questi meravigliosi, dolcissimi animali marini. Possono finire intrappolati nelle reti dei pescatori o ingerire un sacchetto di plastica credendolo una medusa. E finiscono…all’ospedale.
“Il nord Adriatico è un’area di svernamento e di foraggiamento di tartarughe, sia adulte sia giovani – spiega Carla Ferrari, Direttore della Struttura Operativa Daphne dell’Arpae dell’Emilia Romagna – e l’interesse del Ministero Ambiente e Tutela del territorio e del mare, con il coinvolgimento delle Regioni, è rivolto a salvaguardare la tartaruga marina. Pertanto le azioni da mettere in campo sono l’utilizzo di apparecchiature da installare nelle reti a strascico per impedire la cattura accidentale di tartarughe e l’individuazione di aree di tutela in Adriatico per aumentare le aree di salvaguardia. Per quanto riguarda la rilevazione della presenza di plastica, in applicazione al Decreto Strategia Marina stiamo monitorando la presenza di rifiuti sulle spiagge, arrivati a seguito di mareggiate, i rifiuti abbandonati sul fondale marino, in particolare le reti da pesca abbandonate che diventano “trappole” per pesci, tartarughe e delfini, e anche i rifiuti presenti nello strato superficiale del mare, in particolare il microlitter, cioè materiale solido di dimensioni inferiori ai 5 mm, microplastiche che tendono ad accumularsi preferibilmente sulla superficie del mare”.
“A Riccione – aggiunge ancora Pari – gestiamo l’Ospedale delle Tartarughe, con 42 “posti letto” (vasche singole, altrimenti si azzuffano ndr.) e che ci costa ogni anno circa 180mila euro tra strutture e cure, compresa la tac. Quando i pescatori o le capitanerie di porto ci segnalano una tartaruga in difficoltà la curiamo e poi, se sopravvive la liberiamo ancora in mare. Quest’anno abbiamo curato e poi liberato ben 58 tartarughe, circa 550 negli ultimi dieci anni. Da più di 20 anni Cetacea rappresenta un punto di riferimento per le Capitanerie di Porto e per le autorità e fornisce un servizio che si è talmente radicato sul territorio da essere ormai considerato “servizio pubblico”, ma senza nessun sostegno economico che dal pubblico provenga”.
Oltre all’Ospedale delle tartarughe, la Fondazione Cetacea gestisce “Adria”, centro di recupero animali marini e di divulgazione sul mare Adriatico. Il Centro, oltre alle strutture di ricovero degli animali malati o feriti, consta di diverse sale espositive, una sala video, un laboratorio didattico, una sala conferenze e una biblioteca specializzata (http://fondazionecetacea.org). Si tratta di un centro aperto al pubblico che, per la sua specificità, viene inserito anche in pacchetti turistici e didattici come fa Giratlantide, tour operator di Cervia (www.giratlantide.net): “la visita al Centro Adria è ben inserita nei nostri pacchetti– spiega Cristina Pagliarani, direttore tecnico dell’agenzia viaggi – e negli ultimi due anni é aumentato il numero di scolaresche italiane (primarie e secondarie di 1° grado) che hanno scelto per il loro viaggi di istruzione, percorsi di 3 giorni/2 notti che prevedono la conoscenza dell’ecosistema marino costiero”.
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Le Tartarughe marine dell’Adriatico
Il mare Adriatico è simile ad una zona del Mediterraneo che è il Golfo di Gabès in Tunisia: entrambi hanno condizioni ottimali per le tartarughe marine poiché le acque sono molto basse e ricche di cibo. In effetti vi ritroviamo quasi le stesse tipologie di tartarughe.
Principalmente l’Adriatico è un sito di alimentazione per le tartarughe marine e zona di svernamento, quindi vi rimangono per tutto l’anno per periodi molto lunghi.
Caretta caretta (Tartaruga comune) – Nell’alto Adriatico è la specie più frequente. Può raggiungere 110 centimetri di lunghezza e un peso di 180 chilogrammi. Il carapace è di colore marrone-rossiccio mentre il piastrone è giallastro. La testa è ricoperta di squame.
Chelonia mydas (Tartaruga verde) – Lunga fino a 125 centimetri con un peso di 230 kg. questa specie presenta una colorazione del carapace variabile tra il verde e il nero e un piastrone giallastro. La testa, larga anche 15 centimetri, è ricoperta da squame cornee.
Dermochelys coriacea (Tartaruga liuto) – Tartaruga di grandi dimensioni che può raggiungere i 2 metri di lunghezza e un peso di 600 chilogrammi. Di colorazione nera, con piccole macchie rosa e bianche, presenta una testa ricoperta di pelle ma priva di squame.
L’Ospedale delle Tartarughe di Riccione
Dal 2007 la Fondazione gestisce un centro di recupero delle Tartarughe marine, uno dei più importanti ed attivi della nazione e per l’Adriatico. Il Centro è riconosciuto come Centro di coordinamento regionale delle Marche dal 2010 e dal 2012 anche dell’Emilia-Romagna, secondo le indicazioni del Piano di Azione Nazionale del Ministero dell’Ambiente. Nel Centro sono state curate e restituite al mare oltre 550 tartarughe marine negli ultimi dieci anni. Il Centro per l’ospedalizzazione delle tartarughe è dotato di una vasca di riabilitazione di 15.000 litri, collegata con due vasche da 1000 litri, il tutto associato ad un impianto di filtraggio, UVB e riscaldamento; tre vasche da 1500 litri con impianto di filtraggio e riscaldamento, una zona inaccessibile al pubblico con vasche di quarantena e una vasca smontabile di 600 litri. Le cure veterinarie delle tartarughe ospedalizzate sono condotte dal veterinario responsabile Dott. Nardini dell’associazione ABA e della Clinica Veterinaria Modena Sud e dalle veterinarie Dott.sse Elisa Ambrosio e Cristina Fellini.
La Tartaruga, tra mito e simbologia
La tartaruga, rettile presente sulla terra sin dal tempo dei dinosauri, è considerato un animale portafortuna, un protettore della terra e della razza umana. Gli antichi romani proteggevano le avanzate belliche con gli scudi disposti a testuggine. Regalare a qualcuno una tartaruga di legno significa augurargli lunga vita e Valentino Rossi ne ha cucita una di pezza sulla sua tuta da motociclista.
La tartaruga ha da sempre un ruolo simbolico importante: è nota per la sua lentezza, ma la sua caratteristica più importante è la longevità.
Quando si pensa alla simbologia della tartaruga i primi due termini che vengono in mente sono la saggezza (una specie che ha assistito ai più importanti cambiamenti di sempre, ha sicuramente accumulato una buona esperienza e la giusta dose di saggezza) e l’immortalità (esiste da circa 215 milioni di anni ed era presente quando i dinosauri nacquero).
Saggia, perchè vecchia e portatrice di ideogrammi sul guscio, la tartaruga è considerata il mitologico “inviato del cielo”. Le quattro zampe svolgono naturalmente la funzione di pilastri; esse sono gli stabilizzatori delle isole del Cosmo.
Il significato della tartaruga presso i Maya era legato alle stelle e alle costellazioni. Il guscio della tartaruga costituisce una rappresentazione della volta celeste.
La tartaruga secondo i Nativi Americani rappresenta la Madre Primordiale. Una leggenda vuole che, quando la moglie del Padre Cielo cadde sulla terra, un castoro recuperò della terra dal fondale dell’oceano e la posò sul guscio della tartaruga. La Dea cadendo su questo soffice pezzo di terra si salvò e così nacque il continente. Non a caso i Nativi Americani chiamano il Nord America “Turtle Island”. Il suo particolare guscio inoltre veniva visto come simbolo del movimento lunare e, ancora una volta, collegato al potere femminile. Il significato del guscio della tartaruga deriva proprio dal suo particolare disegno. Le 13 forme più grandi sono le 13 lune piene dell’anno. Le 28 forme piccole, sul perimetro, sono i 28 giorni del calendario lunare.
Secondo la mitologia Indù, la raffigurazione più comune è quella della tartaruga che sorregge sul guscio un elefante, il quale a sua volta regge il mondo. L’elefante è il principio maschile, la tartaruga quello femminile. Insieme rappresentano l’unione degli opposti, rappresentano lo yin e lo yang.
Il simbolo della tartaruga dalle dimensioni cosmiche che solleva il mondo è famoso anche grazie alla mitologia cinese. In Cina la tartaruga è uno dei 4 esseri sacri, insieme alla Fenice, il Dragone e l’Unicorno. Essa rappresenta la lunga vita, l’ordine immutabile e l’invulnerabilità. La vedono come essere profetico e saggio, il suo carapace veniva utilizzato per scopi divinatori a causa dei suoi disegni.
In Africa il simbolo della tartaruga è collegato alla fertilità maschile. Essa simboleggia la protezione dai malefici e dalla magia nera, la saggezza e la potenza. Secondo molti popoli la tartaruga era un antenato e tutte le case ospitavano una tartaruga. Quando mancava il patriarca era il rettile a dover ricevere il primo boccone del pasto e la prima sorsata d’acqua del giorno.
Nella mitologia giapponese, la tartaruga sorregge la dimora degli Immortali insieme alla montagna cosmica che fa da collegamento alla terra e il cielo. È proprio qui che si vanno a incrociare i 4 punti cardinali. La tartaruga era la dimora delle anime fino a quando non si sarebbero nuovamente incarnati, al termine del ciclo di vite, poi ci sarebbe stato il Nirvana.
In Polinesia credevano che il disegno della tartaruga fosse la mappa che conducesse il percorso che l’anima doveva fare dopo la dipartita del corpo.
Nel sud Pacifico era considerata la divinità di tutto l’oceano ma veniva anche associata alle Pleiadi. Questa stessa simbologia la troviamo anche tra il popolo delle Hawaii.
Per gli antichi Greci, invece, la tartaruga era collegata a Venere e quindi all’amore, a Mercurio e alla procreazione.
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